Archivio mensile:settembre 2013

In generale, il capitalismo italiano funziona in tre semplici passaggi. Primo passo: si urla e si strepita perché un’azienda è pubblica, segno di medievale arretratezza. Secondo passo: la si compra a prezzi stracciati, e si giustifica lo sconto con il fatto che in questo modo si modernizza il paese. Terzo passo: modernissimi, ma indebitati fino al collo, la si vende agli stranieri. A questo punto interviene la politica. Eh, no! Agli stranieri no! E si scopre che la rete telefonica è un settore strategico. Cioè esattamente la stessa cosa che dicevano quindici anni fa quelli contrari alla privatizzazione, trattati come trogloditi, passatisti, premoderni, fessi e conservatori. Mentre i moderni si vede, dopo quindici anni, che bella figura!

Ronny Mazzocchi  (via pollon)

E Robb potrebbe raccontarci qualcosa d’interessante sulla Telecom e sulla sua prima privatizzazione, se volessimo essere impietosi.

diversa lettura

Un partito al governo da solo, retto principalmente dalla popolarità della sua leader, con una maggioranza risicatissima. Liberali ed euroscettici fuori dal parlamento. Opposizione parlamentare tutta di sinistra, rappresentata da tre partiti che ne coprono l’intero spettro. Un futuro candidato (e, da notare, donna)  già in rampa di lancio da tempo.

Ecco, forse forse, per la Germania si annunciano tempi interessanti.

“Caro Cuperlo, avremo mai il coraggio di affermare che le ineguaglianze non sono il vero problema?

Il nostro obiettivo deve consistere nella convivenza pacifica e felice tra ineguali, perché la diversità è l’essenza stessa dell’umanità. La chiave consiste nella ricerca di dignità individuale: una vita dignitosa non è una competizione senza ineguaglianze, dove tutti i corridori arriverebbero a destinazione nello stesso preciso istante, ma un percorso che tutti i partecipanti riescono a terminare.

La Sinistra moderna non deve decidere i tempi di arrivo né penalizzare chi corre troppo veloce, al contrario, deve tendere una mano agli ultimi, sostenendoli durante il cammino. Il contributo che noi, quindi, possiamo dare alla società, non è quello di giudici morali o di parificatori economici, bensì quello di portatori di dignità e felicità.

Nonostante negli ultimi 30 anni l’1% più ricco della popolazione abbia visto crescere il proprio reddito di 277 volte grazie all’aumento della produttività e alla scoperta di nuove tecnologie, allo stesso tempo, 200 milioni di persone in meno muoiono di fame e un miliardo di persone in più può accedere all’acqua potabile. Considerando che il 40% degli alimenti prodotti nel mondo non viene consumato e che 800 milioni di persone sono denutrite, dobbiamo ancora impegnarci molto perché tutti ottengano condizioni di vita dignitose: cibo, acqua, elettricità, istruzione, opportunità.

Il problema, comunque, non può essere risolto attraverso una mera redistribuzione di risorse, perché gli sprechi rimarrebbero. Cambiamo punto di vista: elaboriamo politiche pubbliche che riciclino le eccedenze e continuiamo ad investire nelle nuove tecnologie, essenziali, fin dalla scoperta del fuoco, alla creazione di benessere.

Le persone plasmano il mercato: domandano, offrono, intessono relazioni, creano beni e bisogni. Non è un’entità autonoma, informe, che conduce gli uomini senza limiti, ma, al contrario, si tratta di una realtà di fatto, un processo verticale influenzato dal basso attraverso le azioni individuali.

La libertà economica è uno dei fondamenti della democrazia: un mercato aperto, concorrenziale e liberale è quanto di più eguale e dignitoso a cui i cittadini possano aspirare. Dobbiamo mirare a garantire la libertà di mercato, combattendo i monopoli che lo ingessano, l’eccessiva pressione fiscale e il corporativismo sfrenato che sta divorando il nostro Paese. Tuteliamo il mercato dagli interessi delle singole categorie in nome dell’interesse generale e di eguali opportunità di partenza per tutti.

Vogliamo uno Stato che decida cosa è giusto per i cittadini o uno Stato che sia garante della libertà dei cittadini? Qui si pone la scelta fondamentale tra giustizia sociale come garanzia di diritti o come giudizio sulle scelte degli individui. La persona, e con questa la sua libertà, viene prima di tutto, e non deve venire mai cancellata per qualsiasi idea o per qualsiasi senso, perché è la persona che li crea.

Non è compito nostro redistribuire le risorse private, perché non siamo superiori agli altri, non siamo «più uguali di loro», non abbiamo il diritto di decidere al posto loro. Possiamo, però, iniziare a ragionare sulla gestione dei beni pubblici, argomento sul quale potremmo trovare una convergenza con i nostri cittadini. Abbiamo sempre parlato a tutti, ora dovremmo iniziare a farlo anche nella loro lingua, oltre che nella nostra.

Se riducessimo la burocrazia e semplificassimo le leggi, per facilitare la vita delle persone senza complicarla, se smettessimo di concepire lo Stato come un ammortizzatore sociale, se pensassimo all’austerità come all’idea che neanche un centesimo pubblico debba essere sperperato, se la legalità venisse applicata ovunque, se lo Stato fosse meno ingombrante e la pressione fiscale più bassa, le diseguaglianze non rappresenterebbero un problema, perché avremmo una piattaforma comune ricca e prosperosa per tutti.

La nuova Sinistra non avrà alcuna supremazia morale sui cittadini. Saprà accoglierli, ascoltarli e rappresentarli. Avrà l’obiettivo di governare, non di comandare. Sarà democratica, perché saprà coniugare le ragioni del popolo all’esperienza dei tecnici. E difenderà le libertà individuali fin quando non metteranno a repentaglio quelle altrui.”

Giulio del Balzo, nemico del popolo ed esponente della sinistra moderna.

Quelli che vedono la favela brasiliana che cresce felicemente fianco a fianco al grattacielo extralusso e lo chiamano “progresso”.

Lavoriamo per un futuro senza questi oziosi perdigiorno, per il bene dei più deboli, come i precari, i disoccupati e tutti gli oppressi e gli sfruttati. E ovviamente anche per Fluttershy e per 60’s Spidey.

norvegia, in breve

Forse è solo una questione di linguaggio. Qua è difficile strappare di bocca a chiunque una frase razzista, omofoba, poco ponderata in genere. Dopo Utøya, poi, figuriamoci. Qui se sei a favore delle privatizzazioni ti devi giustificare prima, poi fare mezza marcia indietro, poi dire molto chiaramente: “ma essere di destra, qua, è come essere ‘left of your centre-left’”.

Amano stare da soli come probabilmente nessun altro al mondo. E nonostante tutto, sembra non ci sia nulla più importante della vita di comunità. Fanno i figli presto, stanno a casa un anno ad accudirli (tanto la mamma, qualche volta il papà, ti rimborsa lo stato), tornano al lavoro e li lasciano alla scuola dell’infanzia, tutti assieme, le ragazzine al primo lavoro li portano a spasso a gruppi di sei. Non avevo mai visto un passeggino a sei posti. Ti insegnano l’inglese già là, o lo impari guardando la tv, e a cinque anni già lo parli.

A diciassette sei fuori di casa, più o meno. Lavori due anni, qualche associazione, servizi pubblici, cose così, magari all’estero. Inizi l’università (gratis, l’alloggio quasi), lasci la provincia e te ne vai a Trondheim, Bergen, prima o poi finisci a Oslo. Viaggi tanto (mai in Nordnorge, meglio andare al caldo), in Svezia una volta al mese a comprare da bere perché qui è troppo caro, scrocchi una sigaretta agli stranieri per strada, una ogni tanto perché ti tieni in forma, il governo ti aiuta e la palestra non costa niente.
Ti fidanzi – e come sono appiccicose le coppie qui, non avete idea – e cominci a considerare di vivere assieme, che tanto dopo due anni il comune lo considera matrimonio. Pensi ad avere un figlio, e invidi gli svedesi, per cui avere un sussidio di natalità è molto più semplice. Ti lasci, ne trovi un’altra, lei ha già un figlio suo, ma che importa: anche il figlio del re si è messo con una ragazza madre. Poi dopo un po’ lo hanno costretto a sposarsi, ma ci sono voluti anni. Il 45% dei bambini nasce fuori dal matrimonio. Se ti sposerai, gli invitati saranno in costume tradizionale o indosseranno le cravatte più stupide che si possano immaginare, del resto: poco attraente.

Tu, tutti i tuoi compaesani, tutti quelli che devono ancora nascere hanno a disposizione 640000 kr di fondo pensione a testa. Sono 80000 euro circa. Ogni anno, da quel fondo – istituito del 1990 da un governo di centrodestra – viene utilizzato, per le spese correnti, circa il 4%. La proposta del Partito del Progresso di utilizzarne il 15% è guardata con disgusto da tutte le altre forze politiche. Questo fondo investe un po’ dappertutto in giro per il mondo, possiede il 2% dell’Enel, si è dovuto ritirare da Finmeccanica perché ha prodotto missili nucleari e il codice etico non lo permette.

Se chiedi a un norvegese se ama il suo paese, è complicato che ti risponda di sì: probabilmente preferirà dirti che è molto fortunato. Un giorno non avremo più il petrolio, dobbiamo guardare avanti già da oggi, dicono. Ci sono tanti poveri, tanti immigrati non si sono integrati, aggiungono. Non andare a Oslo Est, concludono.
Se chiedi a un norvegese, insomma, se davvero la sua è la società perfetta, scoppierà a ridere e ti dirà di no. La penso anche io così. Per fortuna, non esiste nessuna società perfetta.

La Sinistra dei progetti e delle visioni

Stamane mi sono imbattuto in quella che mi sembra una buona incarnazione dell’identità che potrebbe assumere la sinistra italiana una volta che la dirigenza del Partito Democratico avrà esaurito questo prematuro band-wagon nei confronti di Matteo Renzi.

La piattaforma digitale sulla quale ho trovato questa perla è Ateniesi.it, il luogo dove tutti gli intellettuali o aspiranti tali renziani si riuniscono per parlar male della figura dell’intellettuale nel mondo contemporaneo.

Dopo aver spiegato che è colpa dei comunisti (che fantasia, eh? E non dimentichiamoci che per i renziani i comunisti non solo esistono ancora, ma sono stati alla guida della sinistra dal crollo del Muro di Berlino) se la sinistra è stata per 20 anni subalterna a Berlusconi e alla destra, e dopo aver elencato in 4 righe i difetti della struttura del PD che Renzi spazzerà via con l’aiuto di Franceschini e Bassolino, il simbolo vivente fornisce qualche dato sul quale varrebbe la pena riflettere: oggi il Pd è il primo partito tra pensionati e dipendenti pubblici. Le categorie maggiormente rappresentate dalla Cgil. E’ invece il terzo partito tra gli operai, il terzo tra i liberi professionisti e il secondo tra gli studenti. Invertire questa tendenza significa iniziare a mettere in discussione il rapporto con il sindacato..

Premetto che, pur nella totale assenza di fonti, accetto questi verosimili dati come reali (e fra queste parentesi forse potrete vedere il link diretto ad uno studio in merito, non appena ne troverò uno).
Ora, dello scollamento del PD dalla maggior parte delle categorie e dalla realtà in genere lo sappiamo già. C’è un motivo se non l’abbiamo mai votato, nelle nostre pur brevi e giovani vite da elettorato attivo. Un partito di sinistra, sembra riconoscerlo anche l’ateniese in questione, dovrebbe curarsi maggiormente degli interessi di operai e dei liberi professionisti, anche; voglio dire, avranno certamente interessi simili anche sul lungo termine; e poi noi siamo il grande centro, siamo pronti a comporre i conflitti, tutti quanti, come diceva Veltroni e come cercava di fare anche Bersani lottizzando la segreteria. Perdonate lo sproloquio. Ad ogni modo, se siete lettori acuti a cui piace dimenticarsi di se stessi per vagare con la propria mente, forse avrete notato che non c’è nessun riferimento ai precari o ai disoccupati. Avete presente i precari? Sì, quei tizi che lavorano come schiavi, con la testa bassa, impauriti dai loro datori di lavoro o dai loro colleghi più fortunati, ma che a differenza degli schiavi non hanno i mezzi materiali per metter su famiglia o la garanzia di aver sempre un tetto sulla testa. Bene, gli ateniesi e la CGIL da oggi hanno punto in comune: non sanno cosa sia un precario. La CGIL si limita infatti a inserirli nella categoria lavorativa di competenza (finchè lavorano). Nonostante i renziani non si pongano tanti problemi su queste utili e sacrificabili formiche operaie, sanno che essi dovranno diventare la normalità: il posto fisso non potrà più essere la regola nel futuro verso il quale siamo in marcia, perché è semplicemente insostenibile. Oh, e poi se la prendono con la decrescita felice. Se non altro, ci si propone di accompagnare nel suo percorso di reinserimento chi in un dato momento si trova senza posto di lavoro, sostenendolo economicamente e con una formazione professionale degna di questo nome, che non faccia solo l’interesse dei formatori. Meno male che insegnare a qualcuno a lavorare in un call center non costa quasi niente. Per lavori più complessi, i renziani si propongono di garantire l’onniscienza professionale, o qualcosa del genere, visto che è inutile continuare a studiare per lauree inutili e che è privo di senso che un lavoratore cerchi di specializzarsi e di eccellere in un’operazione che abbandonerà nel giro di due o tre anni. O forse sperano in una nuova etica del lavoro che convinca la persone a lavorare (bene) aggratis, tipo come pretendono i pentastellati quando cercano segretari, assistenti o consulenti.

Parliamo ora dei disoccupati cominciando dalla fiducia che essi ripongono nei principali schieramenti politici. In particolare, vediamo che fra questi il PD è il terzo partito, surclassato facilmente da CDX e M5S. Magari un bagno di realtà fra questi individui non farebbe male, soprattutto quando ci si dichiara di sinistra e volenterosi di rivolgersi ad un elettorato che non trova rappresentanza nella CGIL. Ammesso e non concesso che con questa dichiarazione d’intenti non si faccia riferimento a Davide Serra e altri imprenditori rampanti che giusto su Ballarò possono essere accettati come rappresentanti della categoria. Non stupiamoci però se poi un comico con la fobia del pettine proclama che destra e sinistra non esistono più.

Arriviamo al succo della questione, al motivo scatenante che ha convinto a fare questo pur misero post. Abbiamo già appurato che Renzi viene, comprensibilmente, visto come il demiurgo del benessere futuro. Contrapposto alla Sinistra definita come post-comunista (benchè post-comunisti e post-democristiani si siano già ben mischiati nel sostenere o osteggiare Renzi, ma comprendiamo che l’esigenza di imporre una certa narrazione sia impellente). Quindi una Sinistra vecchia e incapace di vivere nel presente, benchè il suo elettorato nel presente ci stia letteralmente affogando. Una sinistra che confonde l’uguaglianza con l’egualitarismo [cit.]. Ecco, a questo punto qualche domanda me la son fatta. Ho anche ripreso un vocabolario in mano. La differenza fra l’uguaglianza intesa come identità matematica e l’egualitarismo ce l’ho bene in mente; ma qui si parla di uguaglianza sociale, quindi siamo su un altro piano di discussione. Niente, è un mistero, sono proprio confuso. E allora forse questo post ha colpito nel segno. Però poi mi riprendo e comincio a riorganizzare le idee. Partiamo da zero. Cos’è l’uguaglianza sociale? Bene, non voglio ammorbarvi di Popper e di altre barbe bianche (per di più liberali, benchè sconosciuti ai nostri liberali italiani di sinistra, convinti che Von Mises fosse un generale austriaco nel Lombardo-Veneto e che Von Hayek fosse un gerarca nazista). Così ho pensato: l’uguaglianza sociale è una teoria che descrive una situazione nella quale tutti gli individui godono di pari diritti, doveri e opportunità. Uhm, un tantino generico, ma visto che l’obiettivo è capire la differenza fra A (uguaglianza) e B (egualitarismo) e non descrivere e trattare minuziosamente A, direi che mi posso accontentare, almeno per ora. Cos’è allora l’egualitarismo? Meh, questa è un po’ più difficile, ci sono varie idee e vari ambiti in cui se ne può parlare. Di certo è un’idea che propugna il perseguimento di una maggiore uguaglianza fra gli individui. Che tipo di uguaglianza? Dipende dai propri valori: di fronte alla legge, fra i sessi, fra le fedi religiose, uguaglianza di opportunità, uguaglianza materiale. Allora ho pensato: in base al tipo di uguaglianza che ricerchi, sei un tipo di egualitarista. Mamma mia, di questo passo potrò scrivere perle filosofiche su FutureDem.

Bene, tiriamo qualche somma. Siccome desidero ardentemente una società in cui tutti gli individui abbiano le stesse opportunità, non accontentandomi del livello formale, bensì aspirando anche a quello sostanziale, come dice anche la nostra Costituzione, frutto, come ogni democrazia, del compromesso fra liberalismo e egualitarismo. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese..

Ecco, allora per me l’uguaglianza è il centro del bersaglio di un’Italia più giusta e più felice, mentre l’egualitarismo è la freccia da scoccare. Ora so la differenza. O perlomeno credo di saperla. Almeno, spero mi possiate riconoscere che non ho usato paroloni difficili, tipo catoblepismo e mobilitazione cognitiva, ché poi altrimenti i liberali di Ateniesi.it non mi capiscono, benchè la mobilitazione cognitiva sia farina del sacco di Von Hayek. “Von Hayek? E chi è? Un gerarca nazista?” “Sì, e Von Mises era l’aiutante di campo di Radetzky, ora torna pure a invocare la rivoluzione liberale”.

E’ questo che siamo. La Sinistra che non confonde uguaglianza e egualitarismo, ma che comprende di essere considerata cosa aliena da chi si è ormai rassegnato alla conservazione sociale e pensa di poter migliorare l’Italia a furia di luoghi comuni. Sembra che saremo ancora una minoranza nel campo della sinistra parlamentare, ma abbiamo fiducia, a giudicare dall’attivismo civico sempre più forte al di fuori della politica odierna, che il nostro sia il terreno più fertile, l’unico che potrà dare frutti e sul quale valga la pena impegnarsi per un progetto sul lungo periodo, anzichè rimanere schiavi del presente senza neanche essere in grado di cambiarlo per aiutare chi soffre di più, come capita invece a tutti gli illuminati sostenitori del buon senso (il loro buon senso, naturalmente) come unico metro di giudizio e di azione politica. Siamo sopravvissuti a Veltroni, sopravviveremo anche a Renzi.