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Equ(al)ity

Non so se vi siete mai interrogati sulla differenza fra equità e uguaglianza. A me è capitato abbastanza spesso da qualche anno a questa parte. In questo periodo mi sono imbattuto spesso in un’immagine che forse avrete incrociato anche voi, essendo stata abbastanza popolare su faccialibro e su google immagini.

Per qualche mese, questa immagine ha sintetizzato la mia opinione in merito, almeno finché non mi è venuto un dubbio: e se invece di tre, le persone in questione fossero milioni? Ci sarebbero due problemi immediati da risolvere: da dove prendere le cassette di legno necessarie? E, soprattutto, come fare in modo che ogni persona bassa ne abbia due, ognuna di media altezza ne abbia una, e che nessuna cassetta vada ad una persona già abbastanza alta? Per ora mettiamo da parte il problema della reperibilità delle cassette di legno, almeno finché non avremo capito cosa dovremmo farci.

Prima di tutto dovremmo stabilire delle fasce d’altezza: bassa, media e alta. In secondo luogo, dovremmo stabilire dei controlli per l’altezza. Ed infine pensare all’attuazione pratica del progetto di distribuzione cassette. Facciamo che le cassette sono alte mezzo metro e che decidiamo quindi di dividere le fasce d’altezza in questo modo: alto = 2 metri o più; media = fra 1,50 e 2 metri, estremi esclusi; bassa = 1,50 metri o meno. Controllare l’altezza è facile: si può usare l’altezza nella carta d’identità o, se si temono falsificazioni, si può dotare di un semplice metro ogni ufficio designato alla consegna delle cassette o comunque del controllo.

Quali sono i problemi di un sistema del genere? Anzitutto potremmo dire che un uomo alto 1,51 ed uno di 1,99 non sono esattamente individui della stessa altezza. E che sarebbe iniquo perdere, per un centimetro, l’accesso ad un aiuto garantito a persone alte, alla fin dei conti, non diversamente da te. È quello che succede nei sistemi di welfare liberale o residuale: bisogna essere sotto una soglia minima di benessere per avere accesso agli aiuti sociali. Potresti essere fuori o dentro per un paio di euro o sterline e, siccome calcolare il proprio reddito e il proprio patrimonio è un po’ più difficile che misurare la propria altezza, magari si potrebbe sinceramente pensare di avere titolo al servizio in questione, salvo poi scoprire il contrario; vale ovviamente l’opposto, ossia pensare di non aver titolo a quel servizio quando in realtà si rientra nei requisiti richiesti. Possiamo considerarlo un problema marginale? Direi di sì, in fondo nessuna politica può davvero essere precisa al millimetro e, se non vogliamo dare cassette di legno a chi è alto 2 metri, è necessario che qualcuno sia nella posizione di non avere un diritto anche se per solo un centimetro.

Però quella sovresposta non è l’unica criticità da esaminare. C’è da considerare l’effetto che faranno le file di hobbit per ritirare la loro cassetta. Viene da chiedersi se non sia un po’ umiliante.

Beh, magari l’umiliazione terrà lontani coloro che potrebbero cercare i servizi sociali. Magari. Da quando ho visto, in seguito al terremoto del 2009, distinti personaggi aquilani (NB: senza alcun figlio o anziano a carico) fare la fila per fare razzia di pannolini perché tanto sono gratis nutro qualche dubbio sulla dignità delle persone. Ma almeno l’altezza si controlla facilmente. Basta che ci sia qualcuno che misuri i richiedenti con un metro, come abbiamo anticipato prima. Ecco, ora dovremmo introdurre un nuovo concetto: quello di attrito. È ciò che impedisce ad un piano di trasporsi perfettamente dalla carta alla realtà. Maggiori sono le variabili non tenute in considerazione e maggiore è lo sforzo necessario ad affrontarle, maggiore è l’attrito. Se avete studiato fisica, vi sarete accorti che c’entra poco questo attrito con quello studiato in classe. Perché questo è von Clausewitz, mothafucka!

Il nostro piano sulla carta è assegnare le cassette di legno in base all’altezza dei cittadini. Se ignoriamo che alcuni cittadini potrebbero imbrogliare, il nostro piano, trasposto nella realtà, porterà ad un esito differente (avete presente quando scoprono gli evasori totali che si fingevano ciechi e prendevano anche gli aiuti sociali?). Quindi servono dei controlli. I controlli costano. Significa che oltre a spendere per procurarti e distribuire le cassette, tu, Stato, devi spendere anche per vigilare sulla correttezza del processo. Questa è una differenza che può essere notevole. In termini fisici, più che di attrito, potremmo parlare di rendimento (“misura dell’efficienza di una macchina, di un processo, ecc., ottenuta paragonando il risultato utile con quanto si è speso per ottenerlo”). Il rendimento di un sistema di welfare mean-testing viene abbassato in quanto parte delle spese sono dirette a mantenere in funzione il sistema burocratico di verifica. Alla faccia dello Stato Minimo e dell’avversione liberale alla burocrazia.

Sarei didascalico se sottolineassi che le cassette e l’altezza non sono, rispettivamente, servizi sociali e reddito (o patrimonio). Non serve dunque che tracci uno scenario simile con in ballo denaro liquido o accesso alla sanità, probabilmente lo avete già nella vostra mente (o, peggio, nei vostri ricordi più recenti).

Accertato che, come “metodo”, l’equità funziona solo nelle vignette che trovi su google immagini, soffermiamoci sull’uguaglianza. Come ottenerla senza ottenere lo scenario iniquo prospettato dalla metà sinistra della vignetta? La soluzione è insita in un problema che abbiamo fino ad ora tralasciato: da dove vengono le cassette di legno? O meglio: da dove viene il denaro per rendere operativo lo stato sociale? Vengono dallo strumento principe della redistribuzione: le tasse. Se il sistema tributario è informato a criteri di progressività allora non c’è bisogno di controllare niente al momento dell’erogazione del servizio pubblico, in quanto l’accesso a questo è già stato pagato secondo le proprie capacità.

È questo il sistema pubblico universalistico. In Italia l’istituzione più simile a questo sistema, al netto di istituti più tipici di un sistema liberale (p.es. i ticket sanitari e le relative fasce di riduzione e esenzione) è quello della Sanità, eccellenza italiana almeno fin quando non si è dato alle Regioni il potere di mandare tutto a signorine-luccicanti-lungo-la-Salaria*.

L’egalitarismo, oltre ad avere un rendimento più alto per via dell’assenza del mean-test per via dell’impossibilità di frodi, non è neanche umiliante. I burocrati che si occupano dell’erogazione del servizio pubblico in un sistema universalistico non stanno ricevendo una fila di postulanti, di cittadini di serie B. Né i cittadini devono dipendere per pochi centesimi di differenza per accedere o meno al servizio pubblico. Finalmente, notiamo che incidentalmente questo sistema è equo persino verso i ricchi, oltre che alla classe media, dal momento che entrambe ricevono i servizi per i quali pagano, giustamente, in misura maggiore attraverso il fisco generale. Non è un dettaglio minore. Il fatto che anche la classe media tragga vantaggio dal servizio pubblico crea attorno ad esso un consenso ed un attenzione politica da parte degli elettori che non sussiste invece per gli stati sociali a carattere selettivo o sussiste, ma in maniera minore, per gli stati sociale a carattere corporativista (il modello dominante in Italia, per la cronaca).

* = è incredibile che il principio per il quale il privato è più efficiente del pubblico e che il principio di sussidiarietà applicato persino alla Servizio Sanitario Nazionale siano dovuti a persone diverse. È incredibile che ci sia stata più di una persona così stupida da affermare cose del genere, per intenderci.

“Caro Cuperlo, avremo mai il coraggio di affermare che le ineguaglianze non sono il vero problema?

Il nostro obiettivo deve consistere nella convivenza pacifica e felice tra ineguali, perché la diversità è l’essenza stessa dell’umanità. La chiave consiste nella ricerca di dignità individuale: una vita dignitosa non è una competizione senza ineguaglianze, dove tutti i corridori arriverebbero a destinazione nello stesso preciso istante, ma un percorso che tutti i partecipanti riescono a terminare.

La Sinistra moderna non deve decidere i tempi di arrivo né penalizzare chi corre troppo veloce, al contrario, deve tendere una mano agli ultimi, sostenendoli durante il cammino. Il contributo che noi, quindi, possiamo dare alla società, non è quello di giudici morali o di parificatori economici, bensì quello di portatori di dignità e felicità.

Nonostante negli ultimi 30 anni l’1% più ricco della popolazione abbia visto crescere il proprio reddito di 277 volte grazie all’aumento della produttività e alla scoperta di nuove tecnologie, allo stesso tempo, 200 milioni di persone in meno muoiono di fame e un miliardo di persone in più può accedere all’acqua potabile. Considerando che il 40% degli alimenti prodotti nel mondo non viene consumato e che 800 milioni di persone sono denutrite, dobbiamo ancora impegnarci molto perché tutti ottengano condizioni di vita dignitose: cibo, acqua, elettricità, istruzione, opportunità.

Il problema, comunque, non può essere risolto attraverso una mera redistribuzione di risorse, perché gli sprechi rimarrebbero. Cambiamo punto di vista: elaboriamo politiche pubbliche che riciclino le eccedenze e continuiamo ad investire nelle nuove tecnologie, essenziali, fin dalla scoperta del fuoco, alla creazione di benessere.

Le persone plasmano il mercato: domandano, offrono, intessono relazioni, creano beni e bisogni. Non è un’entità autonoma, informe, che conduce gli uomini senza limiti, ma, al contrario, si tratta di una realtà di fatto, un processo verticale influenzato dal basso attraverso le azioni individuali.

La libertà economica è uno dei fondamenti della democrazia: un mercato aperto, concorrenziale e liberale è quanto di più eguale e dignitoso a cui i cittadini possano aspirare. Dobbiamo mirare a garantire la libertà di mercato, combattendo i monopoli che lo ingessano, l’eccessiva pressione fiscale e il corporativismo sfrenato che sta divorando il nostro Paese. Tuteliamo il mercato dagli interessi delle singole categorie in nome dell’interesse generale e di eguali opportunità di partenza per tutti.

Vogliamo uno Stato che decida cosa è giusto per i cittadini o uno Stato che sia garante della libertà dei cittadini? Qui si pone la scelta fondamentale tra giustizia sociale come garanzia di diritti o come giudizio sulle scelte degli individui. La persona, e con questa la sua libertà, viene prima di tutto, e non deve venire mai cancellata per qualsiasi idea o per qualsiasi senso, perché è la persona che li crea.

Non è compito nostro redistribuire le risorse private, perché non siamo superiori agli altri, non siamo «più uguali di loro», non abbiamo il diritto di decidere al posto loro. Possiamo, però, iniziare a ragionare sulla gestione dei beni pubblici, argomento sul quale potremmo trovare una convergenza con i nostri cittadini. Abbiamo sempre parlato a tutti, ora dovremmo iniziare a farlo anche nella loro lingua, oltre che nella nostra.

Se riducessimo la burocrazia e semplificassimo le leggi, per facilitare la vita delle persone senza complicarla, se smettessimo di concepire lo Stato come un ammortizzatore sociale, se pensassimo all’austerità come all’idea che neanche un centesimo pubblico debba essere sperperato, se la legalità venisse applicata ovunque, se lo Stato fosse meno ingombrante e la pressione fiscale più bassa, le diseguaglianze non rappresenterebbero un problema, perché avremmo una piattaforma comune ricca e prosperosa per tutti.

La nuova Sinistra non avrà alcuna supremazia morale sui cittadini. Saprà accoglierli, ascoltarli e rappresentarli. Avrà l’obiettivo di governare, non di comandare. Sarà democratica, perché saprà coniugare le ragioni del popolo all’esperienza dei tecnici. E difenderà le libertà individuali fin quando non metteranno a repentaglio quelle altrui.”

Giulio del Balzo, nemico del popolo ed esponente della sinistra moderna.

Quelli che vedono la favela brasiliana che cresce felicemente fianco a fianco al grattacielo extralusso e lo chiamano “progresso”.

Lavoriamo per un futuro senza questi oziosi perdigiorno, per il bene dei più deboli, come i precari, i disoccupati e tutti gli oppressi e gli sfruttati. E ovviamente anche per Fluttershy e per 60’s Spidey.

La Sinistra dei progetti e delle visioni

Stamane mi sono imbattuto in quella che mi sembra una buona incarnazione dell’identità che potrebbe assumere la sinistra italiana una volta che la dirigenza del Partito Democratico avrà esaurito questo prematuro band-wagon nei confronti di Matteo Renzi.

La piattaforma digitale sulla quale ho trovato questa perla è Ateniesi.it, il luogo dove tutti gli intellettuali o aspiranti tali renziani si riuniscono per parlar male della figura dell’intellettuale nel mondo contemporaneo.

Dopo aver spiegato che è colpa dei comunisti (che fantasia, eh? E non dimentichiamoci che per i renziani i comunisti non solo esistono ancora, ma sono stati alla guida della sinistra dal crollo del Muro di Berlino) se la sinistra è stata per 20 anni subalterna a Berlusconi e alla destra, e dopo aver elencato in 4 righe i difetti della struttura del PD che Renzi spazzerà via con l’aiuto di Franceschini e Bassolino, il simbolo vivente fornisce qualche dato sul quale varrebbe la pena riflettere: oggi il Pd è il primo partito tra pensionati e dipendenti pubblici. Le categorie maggiormente rappresentate dalla Cgil. E’ invece il terzo partito tra gli operai, il terzo tra i liberi professionisti e il secondo tra gli studenti. Invertire questa tendenza significa iniziare a mettere in discussione il rapporto con il sindacato..

Premetto che, pur nella totale assenza di fonti, accetto questi verosimili dati come reali (e fra queste parentesi forse potrete vedere il link diretto ad uno studio in merito, non appena ne troverò uno).
Ora, dello scollamento del PD dalla maggior parte delle categorie e dalla realtà in genere lo sappiamo già. C’è un motivo se non l’abbiamo mai votato, nelle nostre pur brevi e giovani vite da elettorato attivo. Un partito di sinistra, sembra riconoscerlo anche l’ateniese in questione, dovrebbe curarsi maggiormente degli interessi di operai e dei liberi professionisti, anche; voglio dire, avranno certamente interessi simili anche sul lungo termine; e poi noi siamo il grande centro, siamo pronti a comporre i conflitti, tutti quanti, come diceva Veltroni e come cercava di fare anche Bersani lottizzando la segreteria. Perdonate lo sproloquio. Ad ogni modo, se siete lettori acuti a cui piace dimenticarsi di se stessi per vagare con la propria mente, forse avrete notato che non c’è nessun riferimento ai precari o ai disoccupati. Avete presente i precari? Sì, quei tizi che lavorano come schiavi, con la testa bassa, impauriti dai loro datori di lavoro o dai loro colleghi più fortunati, ma che a differenza degli schiavi non hanno i mezzi materiali per metter su famiglia o la garanzia di aver sempre un tetto sulla testa. Bene, gli ateniesi e la CGIL da oggi hanno punto in comune: non sanno cosa sia un precario. La CGIL si limita infatti a inserirli nella categoria lavorativa di competenza (finchè lavorano). Nonostante i renziani non si pongano tanti problemi su queste utili e sacrificabili formiche operaie, sanno che essi dovranno diventare la normalità: il posto fisso non potrà più essere la regola nel futuro verso il quale siamo in marcia, perché è semplicemente insostenibile. Oh, e poi se la prendono con la decrescita felice. Se non altro, ci si propone di accompagnare nel suo percorso di reinserimento chi in un dato momento si trova senza posto di lavoro, sostenendolo economicamente e con una formazione professionale degna di questo nome, che non faccia solo l’interesse dei formatori. Meno male che insegnare a qualcuno a lavorare in un call center non costa quasi niente. Per lavori più complessi, i renziani si propongono di garantire l’onniscienza professionale, o qualcosa del genere, visto che è inutile continuare a studiare per lauree inutili e che è privo di senso che un lavoratore cerchi di specializzarsi e di eccellere in un’operazione che abbandonerà nel giro di due o tre anni. O forse sperano in una nuova etica del lavoro che convinca la persone a lavorare (bene) aggratis, tipo come pretendono i pentastellati quando cercano segretari, assistenti o consulenti.

Parliamo ora dei disoccupati cominciando dalla fiducia che essi ripongono nei principali schieramenti politici. In particolare, vediamo che fra questi il PD è il terzo partito, surclassato facilmente da CDX e M5S. Magari un bagno di realtà fra questi individui non farebbe male, soprattutto quando ci si dichiara di sinistra e volenterosi di rivolgersi ad un elettorato che non trova rappresentanza nella CGIL. Ammesso e non concesso che con questa dichiarazione d’intenti non si faccia riferimento a Davide Serra e altri imprenditori rampanti che giusto su Ballarò possono essere accettati come rappresentanti della categoria. Non stupiamoci però se poi un comico con la fobia del pettine proclama che destra e sinistra non esistono più.

Arriviamo al succo della questione, al motivo scatenante che ha convinto a fare questo pur misero post. Abbiamo già appurato che Renzi viene, comprensibilmente, visto come il demiurgo del benessere futuro. Contrapposto alla Sinistra definita come post-comunista (benchè post-comunisti e post-democristiani si siano già ben mischiati nel sostenere o osteggiare Renzi, ma comprendiamo che l’esigenza di imporre una certa narrazione sia impellente). Quindi una Sinistra vecchia e incapace di vivere nel presente, benchè il suo elettorato nel presente ci stia letteralmente affogando. Una sinistra che confonde l’uguaglianza con l’egualitarismo [cit.]. Ecco, a questo punto qualche domanda me la son fatta. Ho anche ripreso un vocabolario in mano. La differenza fra l’uguaglianza intesa come identità matematica e l’egualitarismo ce l’ho bene in mente; ma qui si parla di uguaglianza sociale, quindi siamo su un altro piano di discussione. Niente, è un mistero, sono proprio confuso. E allora forse questo post ha colpito nel segno. Però poi mi riprendo e comincio a riorganizzare le idee. Partiamo da zero. Cos’è l’uguaglianza sociale? Bene, non voglio ammorbarvi di Popper e di altre barbe bianche (per di più liberali, benchè sconosciuti ai nostri liberali italiani di sinistra, convinti che Von Mises fosse un generale austriaco nel Lombardo-Veneto e che Von Hayek fosse un gerarca nazista). Così ho pensato: l’uguaglianza sociale è una teoria che descrive una situazione nella quale tutti gli individui godono di pari diritti, doveri e opportunità. Uhm, un tantino generico, ma visto che l’obiettivo è capire la differenza fra A (uguaglianza) e B (egualitarismo) e non descrivere e trattare minuziosamente A, direi che mi posso accontentare, almeno per ora. Cos’è allora l’egualitarismo? Meh, questa è un po’ più difficile, ci sono varie idee e vari ambiti in cui se ne può parlare. Di certo è un’idea che propugna il perseguimento di una maggiore uguaglianza fra gli individui. Che tipo di uguaglianza? Dipende dai propri valori: di fronte alla legge, fra i sessi, fra le fedi religiose, uguaglianza di opportunità, uguaglianza materiale. Allora ho pensato: in base al tipo di uguaglianza che ricerchi, sei un tipo di egualitarista. Mamma mia, di questo passo potrò scrivere perle filosofiche su FutureDem.

Bene, tiriamo qualche somma. Siccome desidero ardentemente una società in cui tutti gli individui abbiano le stesse opportunità, non accontentandomi del livello formale, bensì aspirando anche a quello sostanziale, come dice anche la nostra Costituzione, frutto, come ogni democrazia, del compromesso fra liberalismo e egualitarismo. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese..

Ecco, allora per me l’uguaglianza è il centro del bersaglio di un’Italia più giusta e più felice, mentre l’egualitarismo è la freccia da scoccare. Ora so la differenza. O perlomeno credo di saperla. Almeno, spero mi possiate riconoscere che non ho usato paroloni difficili, tipo catoblepismo e mobilitazione cognitiva, ché poi altrimenti i liberali di Ateniesi.it non mi capiscono, benchè la mobilitazione cognitiva sia farina del sacco di Von Hayek. “Von Hayek? E chi è? Un gerarca nazista?” “Sì, e Von Mises era l’aiutante di campo di Radetzky, ora torna pure a invocare la rivoluzione liberale”.

E’ questo che siamo. La Sinistra che non confonde uguaglianza e egualitarismo, ma che comprende di essere considerata cosa aliena da chi si è ormai rassegnato alla conservazione sociale e pensa di poter migliorare l’Italia a furia di luoghi comuni. Sembra che saremo ancora una minoranza nel campo della sinistra parlamentare, ma abbiamo fiducia, a giudicare dall’attivismo civico sempre più forte al di fuori della politica odierna, che il nostro sia il terreno più fertile, l’unico che potrà dare frutti e sul quale valga la pena impegnarsi per un progetto sul lungo periodo, anzichè rimanere schiavi del presente senza neanche essere in grado di cambiarlo per aiutare chi soffre di più, come capita invece a tutti gli illuminati sostenitori del buon senso (il loro buon senso, naturalmente) come unico metro di giudizio e di azione politica. Siamo sopravvissuti a Veltroni, sopravviveremo anche a Renzi.