Oggi sono stato alla manifestazione della CGIL di Piazza San Giovanni. Me l’aveva proposto mia madre ieri sera, in un momento di altissimo comunismo che non mi spiego granché bene ma che non posso far altro che approvare. Pensavo di andarci comunque, ovviamente, però la differenza che può fate una tazza di caffè preparata da una figura materna è spesso ciò che fa la differenza fra una battaglia vinta ed una persa, anche se questo i libri di storia “non ve lo diconoooo!!1!ONE!!ELEVEN!11!”
Siamo arrivati alle dieci e quindici, dieci e mezza circa, e c’erano davvero quattro gatti, come ha subito notato mia madre. Diecimila circa. Massimo-massimo ventimila. Che per me erano comunque una marea di gente, visto che frequento spesso eventi di matrice socialista eversiva (aka, feste e scuole di Left Wing, presentazioni di Pandora e cose così), dove effettivamente siamo i soliti quattro gatti che si accontentano di constatare che questa volta sono venute dieci persone in più e pure un ministro che non sia di Rifare l’Italia, li mortè, il socialismo avanza di nuovo, compagni. Voglio dire, se c’è più gente che ad una Festa dell’Unità, vuol dire che siamo davvero un sacco alla manifestazione, per i miei standard di giovane post-caduta del Muro. Però anche io capii che 10-20mila partecipanti non va bene per niente, soprattutto se se ne erano previsti centoventimila. E poi arrivano i cortei, aperti da questa avanguardia.
Per chi non lo sapesse, sia io che mia madre siamo di L’Aquila, quindi abbiamo avuto un fortissimo momento amarcord. Momento amarcord che ha raggiunto il suo climax quando mia madre si è riunita ad un’amica aquilana con un passato che migra dalle Frattocchie fino alla CGIL passando per Rifondazione e dal disagio che io che sono nato dopo la caduta del Muro probabilmente neanche m’immagino, ma che onestamente io fossi in lei non saprei proprio come non iscrivermi aji terrorishti, come minacciava il nostro più illustre conterraneo. Il clima era quello dei rassegnati con ironia che vengono in piazza a prenderla con filosofia, una riunione di ultimi romantici. I Modena City Ramblers che cantano quasi certamente aggratis poi non fanno che confermare e, in qualche modo, esaltare, l’impressione. Poi però la folla continua ad aumentare e cominciamo a capire di essere tanti.
E come diceva il compagno Stalin, “la quantità ha una qualità tutta sua”. Curiosamente, nella dittatura del proletariato c’era comunque l’accettazione del principio democratico della quantità contro quello aristocratico della qualità. Ho sempre ritenuto straordinario come si potesse riscoprire i segretari generali del PCUS come più vicini e moderni di tanti cazzoni che si riempiono la bocca di superiorità antropologica e altre supercazzole. Ma adesso basta cercare di essere più staliniani di Zizek, e rimandiamo a dopo i nostri consueti addà venì Baffò.
Mentre noi pensavamo di essere molto romantici a sentire i Modena e a parlare del passato, sono venuti i più romantici di tutti.
Altro che Rifondazione, altro che i Marxisti-Leninisti (c’erano anche loro, ma loro ci sono sempre, ovunque, a prescindere), i tesserati del PD che, con tanto di bandiere del Partito, vengono alla manifestazione della CGIL mentre il PD è al governo e il segretario è alla Leopolda sono veramente i più romantici sognatori di tutti. E mandano un segnale migliore di quello che potrebbe mai mandare Ciwati, dal momento che loro non ci sono mai andati alla Leopolda, loro. E probabilmente manco li avrebbero fatti entrare. Non solo perché, sempre a differenza di Ciwati, non sono libbberali, ma anche perché machicazzosiete, machiviconosce, nonhaineanchelaCaspirata.
Ricordatevela questa cosetta della Leopolda ché nel momento di semi-serietà finale ce la ricordiamo.
Intanto nella piazza avevo modo di fotografare vere e proprie manifestazioni dello Spirito del Tempo.
Quando mi chiedono “perché non ti definisci riformista?” potrò mostrare questa foto oltre a questo link. I conservatori sono riformisti, i riformisti sono conservatori e pure estrema sinistra ed estrema destra non è che si distinguano benissimo, specie quando vanno alle manifestazioni contro Israele.
Nel frattempo dal palco, oltre ai tre presentatori (una delle ragazze aveva davvero una voce terribile e insopportabile, per la cronaca: metteva tutti gli accenti sulle penultime vocali, che è quel che nel gergo corrente si definisce avere una voce da oca), si susseguono interventi dei rappresentanti di varie categorie lavorative rappresentante, bene o male, dalla CGIL. Molto interessante l’intervento di un negro sulle cooperative e sugli sfruttamenti perpetrati ai danni dei lavoratori immigrati e del dumbing salariale ai danni dei lavoratori italiani da parte di alcuni quasi-cooperative. Ma è pur sempre un negro, io non credo che ci si possa fidare dei negri più di un signore che li frusta per far raccogliere i pomodori, quindi si tratta di un nemico dell’Italico popolo che cacceremo non appena saremo usciti dall’Europa per ricongiungerci all’Africa, terra che i negri ci hanno arrubbato e Salvini ci guiderà. o/
Rimanendo in tema di popoli parassiti dai quali solo Fratelli d’Italia, la Lega e, a targhe alterne, Beppe Grillo ci difendono, ha parlato anche un napoletano. Ed è stato il più bel discorso secondo me. Ha parlato di come abbia lavorato in nero dai 14 ai 22 anni, quando la CGIL lo aiutò a trovare un contratto ed ha ricordato un suo compagno morto poco tempo prima sul posto di lavoro, per il quale ha invitato la piazza a fare un minuto di silenzio. Il racconto di una vita dura con un’inflessione terrona fortissima, il ricordo commosso per quella morte bianca e un senso di gratitudine per un salvataggio che, dopo gli ultimi 20 anni di distruzione del mercato del lavoro italiano, non so se la CGIL potrebbe mai riprodurre oggi in Italia, figurarsi nelle zone più depresse come Napoli, sono stati secondo me un momento altissimo e storico.
E tutto quel che ho saputo fare è stato questo schifo di foto in cui riesci a contare i pixel uno per uno.
Io avevo anche cercato di incontrare Palmiro di T-RED, portato a spasso da Federico, che si aggirava per la piazza ma, pur girando per TUTTE le comitive UDU di TUTTA Italia, non l’ho trovato neanche quando, stremato, alla domanda “scusami, per caso voi siete dell’UDU di Padova?” mi hanno risposto “Sì!”. Federico e Palmiro erano scomparsi. Ho persino trovato altra gente (non li nomino perché ho trovato davvero MOLTA altra gente) che cercava come me Federico, ma non Federico. E niente, dopo un’ora e mezza mi sono arreso e sono tornato indietro.
A questo punto il nostro trio aquilano ha deciso di sloggiare che se stava a fa ‘na certa e ancora non avevamo capito dov’erano i bagni, se c’erano, e le file per i bagni dei bar erano chilometriche. Non solo quelle file però erano i chilometriche. Mentre cercavamo di uscire dalla piazza, ci accorgevamo comunque di essere sempre dentro la manifestazione, tipo Il Castello di Kafka. Non esci mai abbastanza, sei circondato da bandiere, gente che và e ancora altri furgoncini della CGIL.
Alla fine mi separo da mia madre e dall’amica aquilana per beccarmi con Foxy a Piazza Vittorio Emanuele. Lui non era andato a Piazza San Giovanni per impegni suoi mattutini ed è stato del tutto incredulo quando, via telefono, gli ho detto che, ancora all’una e trenta, un corteo sfilava a Piazza Vittorio Emanuele (non esattamente a due metri da Piazza San Giovanni) in direzione del palco della CGIL. Mentre lo aspettavo, ho visto il corteo chiudersi nel giro di dieci minuti.
Ne approfitto anche per andare a un bar, prendermi un caffè e farmi un’eternità in fila al bagno. Occasione nella quale, per la serie “eccone un altro che sta mooolto peggio di te”, ho conosciuto due sardi simpaticissimi lavoratori (ex) del Sulcis. Ora, per me i Sardi sono l’unico popolo ariano a sud di Trento, va bene, però erano davvero una coppia straordinaria (suppongo marito e moglie, ma non sono affatto sicuro). Abbiamo scherzato alla grande, anche se quando mi ha raccontato del Sulcis e del futuro per un cinquantenne che ha perso il lavoro, un po’ di sincera incazzatura si è percepito. Si è molto percepito. Alla fine sono finalmente entrato nel cesso promettendo “faccio presto!”. Uscitone, lui mi fa “non è stato così presto!” ed io “ho fatto come il governo: io intanto i 240 milioni li ho promessi, poi se tu aspetti sono affari tuoi!”. Grassissime risate. Lol, davvero sto raccontando queste cose? Ci siamo salutati col classico bacio-terrone-su-entrambe-le-guance e tanti auguri di buona fortuna e sono andato a prelevare Foxy.
Lo prendo, gli mostro la via Emanuele Filiberto. Per un terzo o metà della sua lunghezza (non sono sicuro perché la folla cominciava a defluire e quindi non era chiarissimo) era occupata da manifestanti che non erano riusciti ad entrare a Piazza San Giovanni.
“Ma che è, il Papa?”
Foxy c’ha ‘na capacità di sintesi che davero oh. Segue cena al ristorante indiano (esperienza per me nuova ma piacevole) e ricordi di giovinezza miei e di Foxy. Io che così tanta gente neanche quando ero nel mio periodo reazionario che andai a un Family Day (forse, se non ci fossi mai andato, forse sarei ancora reazionario), lui che leggeva il Fatto Quotidiano (che, lo ricordiamo, è peggio di aderire al franchismo, come in sostanza feci io a 14 anni).
Per concludere in bellezza, riaccendo il cell e Federico ricompare sul messenger di faccialibro. Decidiamo di beccarci a Manzoni, ché loro adesso stanno andando via. Nel tragitto Foxy ha modo di farsi una foto significativa.
E infine becchiamo Federico. Con Palmiro. Poco prima di scendere nella metro. E stavolta è il mio turno per farmi una foto con un protagonista della Sinistra moderna.
Il tempo di scambiarci pochissime battute e di salutarci. "Oh, se mai capitate su al Nord passate a trovarmi, eh!" ed io "Sese, al Nord, come no, sicuro, credice!". Lui sempre sorridente, Foxy sempre imbarazzato, io sempre il solito stronzo.
Ci tuffiamo nella metro e, mente Foxy si lamenta che la sua unica amica ucraina ha probabilmente fatto cancellare la foto con Stalin che aveva caricato, un lavoratore negro della CGIL si rivolge ai suoi compagni bianchi (ammesso e non concesso che noi italiani siamo bianchi).
“Adesso speriamo che stavolta il governo Renzi ci dà un po’ di lavoro”
Lui ci credeva. I suoi compagni un po’ meno. “Sese, due lavori te dà Renzi!”. E altri perculamenti sull’ingenuità del negro che crede, come me (Foxy non so: è un po’ più pessimista), che l’Italia potrebbe in teoria diventare un Paese socialdemocratico. Ci sembrò una situazione davvero rappresentativa dell’intero Paese e ne ridacchiammo sommessamente. Adesso mi viene quasi da piangere, fra le risate che ancora mi sfuggono.
Tornato a casa, sento che Davide Serra alla Leopolda ha proposto di ridurre il diritto di sciopero. Perfetto, davvero. Voglio dire, da una parte un milione di lavoratori (e disoccupati) in piazza, con tanti umori diversi, dalla felicità alla rassegnazione passando per la rabbia e la grinta, dall’altro un garage chiuso di brava gente e buoni signori finanziati da personaggi che neanche si preoccupano più di tanto di non sembrare un cattivo dei fumetti Marvel. Davvero, non è stato difficile scegliere fra San Giovanni a Roma e Leopolda a Firenze.
Intanto però pensiamo a chi oggi ha vinto davvero, anche dentro il PD. Non Renzi e i renziBot che sono andati alla Leopolda, no; non Cuperlo e Fassina che sono andati a Piazza San Giovanni, no; non Ciwati che ovunque vada stikazzi rimane un libbberale demmerda, no; neanche Davide Serra che propone futuri distopici nella totale impunità, no; e nemmeno la Camusso che alla fine ha invocato lo sciopero generale, no.
Regà. Matteo Orfini sta in Cina. S’è beccato pure la falce col martello. Ha vinto la vita.